sexta-feira, 4 de setembro de 2015

DALLO "Il Corriere della sera"







GEN
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Queste donne pensano di compiere una sorta di pellegrinaggio attraverso le nozze e il sacrificio
Matrimonio e martirio, chi sono le spose della jihad
di Marta Serafini

Tags: donne, isis, islam, jihad, terrorismo



C’è un elemento che non va sottovalutato e che emerge dagli attentati di Parigi. E cioè il ruolo delle donne nella jihad. Mentre tutta la Francia e i servizi segreti di mezzo mondo sono sulle tracce di Hayat Boumedienne , ragazza che avrebbe partecipato al massacro del negozio kosher, all’Occidente tocca fare un ulteriore sforzo. Perché se difficile è da comprendere quel velo nero, è ancora più complesso da capire quando lo si vede associato a un’arma e al terrorismo, come nel caso di Hayat.

Quest’estate, dopo la decapitazione del giornalista James Foley per mano di Isis, molto fece discutere la storia di Khadijah Dare, che si era unita all’esercito del Califfato. “Voglio essere la prima a sgozzare un occidentale”, disse. I suo occhi azzurri, freddi, che comparivano da dietro il velo hanno fatto il giro del mondo. In un’intervista quella donna dichiarò di aver spostato un uomo e di averlo seguito al fronte perché voleva contribuire alla jihad. Il mezzo per arruolarsi per la jihad per le donne è infatti il matrimonio. Non si tratta però di semplici mogli.



Queste ragazze sono muhajirah (letteralmente viaggiatrici, pellegrine), ossia spose della jihad che cambiano paese in nome della Guerra Santa. Secondo il Centre for the Study of Radicalisation” al King College di Londra le donne costituiscono circa il 10 per cento dei terroristi europei dentro Isis: in maggioranza sono francesi (63), seguite da britanniche (50) e tedesche (40). Ad accomunarle sono i motivi che le spingono a partire, anche a 14 o 15 anni di età, spesso in disaccordo con le rispettive famiglie. Quello più frequente è appunto il “matrimonio jihadista” ovvero il sogno di incontrare al fronte un miliziano del Califfo con cui unirsi ed avere dei figli da portare in grembo dopo il suo possibile martirio. Questa pratica viene incoraggiata da isis che in alcuni casi ha permesso anche matrimoni via Skype per accelerare l’arrivo delle spose.
“Queste donne compiono una sorta di pellegrinaggio (Hijrah, il viaggio alla Mecca che tutti i musulmani devono compiere almeno una volta nella vita) perché vogliono essere coinvolte nel processo di fondazione dello Stato islamico”, spiega Melanie Smith del King’s College. Gli uomini di Al Baghdadi hanno capito infatti che se vogliono creare uno Stato Islamico hanno bisogno anche delle donne. E se è vero che le figure femminili hanno da sempre avuto un ruolo chiave nella jihad (si pensi che il martire deve avere il permesso della madre per andare a morire), rispetto ad Al Qaeda la condizione femminile si è in qualche modo “evoluta”. Sia che le spose vivano nello Stato islamico sia che stiano in territorio nemico come nel caso di Hayat.

Evoluzione, dunque. Ma nessuna emancipazione. Siamo lontani anni luce da Amina Wadoud, autrice de Il Corano e le donne, rileggere il testo sacro in una prospettiva di genere. “Nelle fila di Isis sono le stesse donne a non rivendicare un ruolo politico, vogliono essere coinvolte nella creazione di quello che vedono come uno stato pienamente funzionante, sì. Ma rispettando alla lettera la Sharia. Così portano avanti le attività femminili permessi dalla più rigida interpretazione dell’Islam, per lo piu ‘ fanno le pulizie ‘ e creano strutture comunitarie”, spiega ancora Smith. Morale lemuhajirah passano più tempo tra pannolini e fornelli che con un fucile in mano.

Di recente però in Siria, in particolar modo a Raqqa, le donne sembrano aver assunto un ruolo più “attivo” (in senso negativo, ovviamente). E i fucili hanno fatto la loro comparsa vicino alle stoffe nere dei niqab. Isis ha creato la brigata femminile di Al Khansa, responsabile dell’applicazione della Sharia. Le testimonianze parlano di donne spietate, che torturano e massacrano volontariamente altre donne perché non indossano i guanti o perché hanno un velo troppo sottile. Ma non solo. Sempre a Raqqa è stato creato un vero e proprio programma per istruire le spose della jihad. Segno che il loro ruolo sta cambiando, in una sorta di emancipazione dell’orrore. Queste donne infatti non sono costrette o tenute in schiavitù come accade nel caso delle prigioniere di guerra infedeli. Ma agiscono convinte che sposando un futuro martire della Jihad hanno un futuro assicurato, per loro ed i loro figli che continueranno a battersi per l’Islam.

Le più giovani in genere sono più motivate ideologicamente, come nel caso dell’austriaca Samra Kesinovic, 16 anni, che imbrattava i muri della scuola con scritte inneggianti ad Al Qaeda ed anche bambine di 13 anni, adescate online, come avvenuto in Germania. Risultato, in questi mesi sono state parecchie le testimonianze di genitori che hanno denunciato la partenza delle figlie per la Siria e per l’Iraq. Stati Uniti, Australia, Indonesia. Generalmente queste ragazze vengono adescate sui social network e poi convinte a partire.
Ma anche in questo caso, non sono costrette con la forza.

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